Un libro di viaggio che ti dice come leggere libri di viaggio non sia abbastanza. Ecco la trama, le riflessioni e gli spunti di Sensi di Viaggio di Marco Aime.
“Il viaggio è movimento. Non solo del corpo, anche della percezione. Il viaggio è un reinventarsi continuo dei nostri pensieri e dei nostri sensi davanti a paesaggi e volti nuovi.”
Questo è il concetto principale intorno a cui ruota Sensi di Viaggio di Marco Aime. Un libro che mi ha lasciato in forse, ma che ha saputo regalarmi alcune riflessioni che, so, non perderò mai e terrò sempre bene in mente. La cosa che tengo a ricordare più di tutte è che il viaggio è movimento, il movimento è cambiamento, e il cambiamento è vita.
“La tua ombra cambia forma in viaggio, si ingobbisce su una duna, si spezzetta nel sole dietro a una grata, si frantuma sui sassi, vibra dal finestrino di un treno, si irrigidisce, lunga, nel tedio di una pianura coperta di brina. Danza su un telo mosso dal vento, si impenna contro la roccia, dando, talvolta, al tuo profilo angoli bizzarri. Vedendo la tua forma cambiare, ti accorgi che muovendoti non rimani mai uguale.”
La trama di Sensi di Viaggio di Marco Aime
… Se di trama vogliamo parlare. Sì, perché questo libro non ha un principio e una fine ben precisi, ma è invece una serie di piccoli racconti che si susseguono e che, per la maggior parte dei casi, non hanno niente a che fare l’uno con l’altro. Racconti brevi, immediati, che spesso iniziano e non finiscono, lasciandoti con un punto di domanda su quello che c’era ancora da descrivere e invece non conosceremo mai. Dal Marocco al Mali, dalla Scozia all’Ecuador, fino al Benin e in tanti altri luoghi sconosciuti e inafferrabili: Marco Aime racconta brevi spezzoni dei suoi viaggi dal 1979 al 2013, portandoci tra gli odori densi dei treni, i rumori assordanti delle strade, i gesti inaspettati delle persone, il potere delle emozioni che si creano tra anime diverse. Alcuni racconti hanno una trama un po’ più complessa; molti altri, invece, sono semplici descrizioni di ciò che Marco vede e sente in un certo momento di un suo viaggio: i luoghi, le persone e i loro movimenti, gli abiti, le espressioni, gli oggetti di una vita così lontana dalla nostra che entrano in scena e poi spariscono. Vere e proprie istantanee in parole, come fotografie che ci aiutano a immaginare quei luoghi in una latitudine e in un tempo lontanissimi.
Marco Aime è principalmente un antropologo e credo che i racconti debbano essere alla luce di questo, al suo interesse indistruttibile per la psicologia che sta dietro a gesti, movimenti, scelte ed emozioni umane.
Contrasti: da una parte è un no perché…
Per tutto il tempo della lettura di Sensi di viaggio di Marco Aime, non sono riuscita a capire se questo libro mi stesse piacendo oppure no. Siccome sono una persona positiva che cerca sempre di capire il bello delle cose, mi sono concentrata a un certo punto solo su quello che di questo libro mi ha colpito positivamente, ed è per questo che sto scrivendo questo post. Ciononostante credo che, alla fine, della maggior parte di questo libro non mi rimarrà molto, e forse tra qualche settimana mi sarò già dimenticata dei suoi racconti che, essendo appunto solo istantanee concise e immediate, non credo possano lasciarsi dietro un grande spazio di riflessione ed emozione. Questo è quello che mi dispiace di più, perché amo quando un libro mi colpisce talmente tanto che so che certe cose scritte lì dentro me le ricorderò per sempre!
Inoltre, un’altra cosa che non mi fa impazzire di Sensi di Viaggio di Marco Aime è lo stile di scrittura: in generale, non sono una grande amante dei racconti brevi, preferisco narrazioni più lunghe e, di conseguenza, più articolate. Ma questo è solo un problema mio e magari a te, al contrario, potrebbe piacere molto!
Dall’altra è un sì perché…
Dall’altra parte, di questi racconti ho apprezzato una cosa in particolare: l’immediatezza e il realismo di ciò che veniva descritto e raccontato. Marco si sofferma spesso sui dettagli più piccoli: le forme, i colori, la sostanza delle cose materiali e immateriali. In certi momenti mi sono sentita veramente dentro al racconto, spettatrice e quasi protagonista della scena descritta. I dialoghi sono sinceri, le ambientazioni verosimili, e sono contenta di aver “guardato” tutte queste istantanee sulla vita di ogni giorno che si vive nei luoghi che non ho mai visto e che, forse, non vedrò mai.
“Dalle borse di paglia continuavano a uscire quantità enormi di cibo, vestiti, oggetti vari. Il vagone era diventato un insieme di piccole case, nelle quali ogni famiglia riproduceva i suoi gesti quotidiani. “Viaggi avventura” li definiscono nei cataloghi. Quella che chiamiamo “avventura” per tutta quella gente non è altro che la vita di tutti i giorni.”
Un’altra cosa che mi è piaciuta è stata leggere alcune riflessioni buttate qui e lì all’interno dei racconti; frasi brevi in cui mi sono ritrovata, ripensando all’entusiasmo con cui ho vissuto certi viaggi iniziati con la voglia di creare nuovi ricordi, non di distruggerne di vecchi:
“Mentre andavo verso la stazione compresi che facevo tutto questo per avere qualcosa in più da ricordare. Non mi sarebbe mai venuto in mente che ero partito per dimenticare.”
O, ancora, ripensando ai momenti di fatica e di sudore che ho vissuto in certi miei viaggi, momenti che sembrano lunghissimi ma che sono sempre troppo brevi, forse, per modificare la nostra percezione della vita:
“Dà sempre una sensazione di piacere vedere una meta lontana. La vedi, ma sai che ci vorranno ore prima di raggiungerla. Inizi ad assaporarla da lontano, a immaginare che per oggi il tuo camminare è finito. Forse ritorna a galla quella fatica del viaggio degli antichi descritta da Eric Leed ne La mente del viaggiatore. Travel in inglese significa viaggio e ha la stessa radice del francese travail, lavoro, e dell’italiano travaglio. Il viaggiare di Ulisse era fatica, non piacere. Fatica che noi, viaggiatori a piccole rate, andiamo a cercare in un ritaglio del nostro calendario annuale per sentirci meno automobilizzati. Per inventarci un po’ avventurieri, lasciando a casa alcune delle nostre garanzie quotidiane.”
O, ancora, ripensando alle emozioni di adrenalina e terrore che mi hanno preso lo stomaco e l’hanno stretto con forza ogni volta che ho iniziato un nuovo capitolo della mia vita in viaggio:
“Mentre cammino mi domando come chiedere il permesso di soggiornare nel villaggio. Non so neppure come spiegare che sono un antropologo, cosa faccio, che vorrei svolgere una ricerca. Sono emozionato, ma allo stesso tempo provo quel senso di vuoto che ti pervade tutte le volte che inizia una nuova avventura. Non so come verrò accolto, come farò a comunicare, che cosa sarò capace di fare.”
O, ancora, ripensando a quel misto di gioia e tristezza nel prendere familiarità con un posto che perde la bellezza della sua novità:
“I giorni passano e a poco a poco svanisce la sensazione di entusiasmo e stordimento da esotismo. Inizio a familiarizzare con quel mondo e a volte mi sembra quasi normale essere lì. Da un lato sono contento, dall’altro mi dispiace un po’ perdere lo stupore ingenuo degli inizi.”
Viaggiare con i sensi È viaggiare
“Pensare al viaggio significa veder scorrere davanti al proprio occhio interiore una metafora di paesaggio. Stando fermi, come davanti a uno schermo. Si è registi e spettatori di quel viaggio, non attori. Spostarsi fisicamente, questo fa la differenza. Essere “tra” è il vero senso del viaggiare.”
E poi c’è una cosa in particolare che ho apprezzato di questo libro: quelle brevi stringhe di frasi scritte in corsivo tra un racconto e l’altro, come piccoli pezzi di pensiero tra le fotografie. Ecco, solo per quelli varrebbe la pena di leggere questo libro, per me: i racconti forse servono a scandire meglio questi pensieri, a rappresentarne un esempio concreto, ma io non sono riuscita a coglierne il legame e li ho trovati quindi un po’ fini a se stessi. I pezzetti in corsivo, invece, quelli no: quelli mi hanno fatto pensare un sacco.
Di che cosa parlano quelle frasi? Di un unico concetto, semplice e forse scontato, eppure così vero: che si viaggia solo quando si viaggia per davvero. Che si viaggia solo quando su quell’aereo ci si sale davvero, solo quando quel monumento lo si vede con i nostri occhi, o su quella strada ci camminiamo proprio noi, o quella pietanza siamo noi ad assaggiarla. Marco Aime ci fa capire che è utilizzando i nostri sensi che riusciamo a viaggiare davvero: vedendo, toccando, ascoltando, annusando, assaporando. Viaggiare con la mente non è possibile. E io… mi sono resa conto di essere estremamente d’accordo.
Tempo fa ho scritto un post sul viaggiare stando a casa e credo davvero che leggendo un libro, guardando un documentario o entrando in un ristorante etnico si possa entrare in qualche modo in contatto con una certa destinazione. Ma alla fine non c’è niente da fare, la verità è solo una: il viaggio vero lo si fa solo quando lo si fa.
Con la vista
“L’immagine di cento fiammelle in equilibrio su piccole lampade ricavate da lattine usate, che illuminano appena le bancarelle del mercato di Bohicon. Il viola malinconico delle Dolomiti quando il giorno le abbandona. I mille volti della sabbia del deserto, pronti a tradire la tua memoria a ogni battere di ciglia del sole. Era rosa quella duna, un attimo fa. Ora è gialla, ma basta distrarsi un attimo e diverrà grigia.
Il dilatarsi angosciante e tenero del cielo sulla savana, il rosso che rincorre il blu per poi cedere entrambi al silenzio della notte, nera come il cuore del papavero.
Quali occhi ha la mente? Come può vedere tutto questo? Può inventarlo? Sì, può, ma solo dopo averlo visto accadere.”
Ho pensato ai colori cangianti di Uluru, a come prima di averlo visto coi miei occhi non avrei potuto neanche minimamente immaginare la potenza e il senso del divino che sprigiona. Ho pensato a quando ho visto l’Opera House di Sydney la prima volta e solo lì, solo davanti a lei, mi sono resa davvero conto di aver realizzato il mio sogno. Alle pareti del canyon che volevano verso di me quando mi sono gettata appesa a una corda, a tutte le sfumature di nero e marrone in una valle di Lanzarote, alla sinuosità di un ponte che sembra sospeso sul mare e che collega gli atolli delle Florida Keys.
Con l’udito
“E le musiche scatarranti che escono dagli altoparlanti rotti dei venditori di cassette africani? Il furore dei clacson delle metropoli del Terzo mondo, il ronzio pungente e incantatore della voce di un muezzin, l’urlo assordante e irriverente delle cascate Vittoria, il canto sgraziato dei gabbiani in una baia scozzese, lo sferragliare conciliante di un treno, lo scricchiolio di legno di una barca. Il frusciare e il crepitare sospetto della savana di notte, l’assurdo silenzio del deserto. Come puoi sentirli, stando lì, dove vivi? La mente non ha orecchie.”
Ho pensato a quel silenzio carico di magia quando mi sono commossa di fronte al Monte Fato. O al chiasso infinito e in qualche modo rassicurante di Las Vegas, tra le slot machine e i venditori ambulanti di acqua fresca che, come dischi rotti, continuavano a ripetere “Bada wada uan dala” (Bottle of water one dollar). All’insopportabile rumore delle pale di un elicottero con un ghiacciaio immenso sotto di me, o al suono delicato e mistico delle campanelle in un tempio thailandese.
Con il gusto
“La mente non ha il senso del gusto. Può sentire il piccante che ti dilata lo stomaco? Il sapore sciacquato del caffè in polvere degli aerei che ti dà il senso di essere partito. Il frizzare sgasato e metallico delle birre africane che ti regalano qualche attimo di sollievo prima di trasformarsi in sudore che chiama nuova sete. Lo sfrigolare secco dei piatti cinesi con quel sapore di retrobottega. E quale tenacia, la carne aspra di montone arrostita nel deserto! E il pane cotto sotto la sabbia dai tuareg che scricchiola sotto i denti? Tre giri. Tre giri di tè, con la mano dell’uomo che sale, alta sul bicchiere, con gesto ampio, per lasciar cadere quel filo verde e bollente come la morte il primo giro. E la mano risale, lenta a lanciare un nuovo arco di tè. Dolce come la vita, il secondo. Dita callose che impugnano la teiera rovente di braci. Zuccherato come l’amore il terzo giro. Sfumature che la bocca impara piano a cogliere, che ricordano quelle della luce sull’orizzonte.”
E allora ho pensato alla Kava che si beve alle Fiji, quella bevanda che viene dalle radici polverizzate e che ti lascia la bocca anestetizzata per qualche minuto e tu non riesci bene a spiegarlo. Ho pensato a quella paella in un ristorante minuscolo di Madrid, nascosto in un vicolo e gestito da una coppia di settantenni col grembiule; alle pite calde condite con olio, sale e rosmarino che andavo a mangiare alle 2 del mattino, finita la giornata come animatrice a Naxos, in Grecia; la freschezza del pesce pescato e subito grigliato su una spiaggia messicana, o quelle ciliegie gigantesche e succose acquistate a un banchetto di San Francisco.
Con l’olfatto
“Il viaggio, quello vero, è fatto di odori. L’odore di terra inzuppata dell’Africa dopo le piogge, l’odore che trafigge certe strade di Bangkok, l’odore di grasso delle città del Medio oriente, il tanfo di marcio di Bombay, quello dell’umidità salmastra dei mari del nord, l’odore di sabbia arida del Sahel, quello di foglie bagnate dei tropici, o del fieno appena tagliato o di una guaiava appena morsicata. Gli odori, poi, come la musica muovono i ricordi, ma la mente non ha odore. E casa tua ha sempre il solito odore, il tuo.”
E i miei pensieri vanno al tanfo inenarrabile sprigionato dai durian sui banchetti a bordo strada vicino al mio hotel a Singapore, o al profumo intenso di mirto ed elicriso nella Sardegna dopo la pioggia. Il misto di odori impossibili da distinguere nelle cucine degli ostelli o l’aroma fragrante di cannella di un Kurtoscalacs che ti scalda l’anima dal freddo dicembre di Budapest.
Con il tatto
“L’umidità che ti sfianca. Ti abbatte mentre tu stai a fissare l’inutile sforzo del ventilatore che agita le sue pale dal soffitto. Il bruciore secco del sole del deserto, lo schiaffo del vento di montagna che si affanna sotto la luna alpina. Il sudore che ti solletica, imbarazzante, la pelle. La polvere rossa di una pista africana che ingessa i capelli, intasa il naso, inaridisce la bocca. Nei sogni non si suda, non ci si sporca, non ci si deve mai lavare.”
E quindi come spiegare il tocco freddo della neve durante una bufera tra le lucine natalizie di New York, o le goccioline di sudore che mi scorrevano sulla schiena nelle giornate più calde del deserto australiano. Il pelo del koala sotto alla mia mano, morbido e ispido allo stesso tempo, o i primi abbracci con le persone conosciute in viaggio e che sono diventate amiche per la vita.
“No, la mente non ha nessuno dei cinque sensi. Nessuno. Sono i sensi a comandare la mente. E hanno bisogno di movimento, come la lampadina di una bicicletta. Bisogna muoversi per far girare la dinamo. Muoversi, muoversi, muoversi verso quell’orizzonte che non è mai abbastanza vicino, eppure segna il limite del nostro sguardo.”
Mi rendo conto, quindi, che i ricordi più belli e vivi e significativi che ho dei miei viaggi sono quelli che ho visto, ascoltato, annusato, gustato, toccato. Sono quelle cose che non posso raccontare con una fotografia, o con un post su questo blog. Quelle cose che non si possono neanche bene spiegare perché sono dentro alla tua mente, ormai, ma per esserci hanno avuto bisogno di essere percepite e vissute davvero, in prima persona. Per questo leggere un libro di viaggio, o qualsiasi altra cosa, non sarà mai come viaggiare. Per questo prendere un aereo e vedere un posto velocemente e tornarsene a casa e mettere una bandierina sul mappamondo non sarà mai come viaggiare per davvero, quando si mettono in moto tutti i sensi e si portano a casa ricordi intangibili ma incancellabili. E questa è la cosa che mi è piaciuta di più di Sensi di Viaggio: un libro di viaggio che ti dice che leggere un libro di viaggio non è abbastanza. Un paradosso che ti invoglia, ti spinge, ti pressa, ti mette un’enorme urgenza addosso: voglio partire, andare, viaggiare, viaggiare, viaggiare.
Quando è così, allora forse Sensi di Viaggio di Marco Aime ha centrato il suo obiettivo 🙂
“Puoi restare fermo, immobile e attendere che l’ombra diventi un sottile bordo nero e lentamente si sposti, ti giri attorno, si accorci, si nasconda sotto i tuoi piedi, quasi a scomparire, poi si riaffacci per allungarsi verso oriente fino a svanire stringendosi nel buio. Oppure muoverti, farla impazzire con cambi repentini, con passi zigzaganti, salendo e scendendo lungo i sentieri e le strade. Puoi lasciare la tua ombra al suo destino immutato di satellite senza corpo oppure portarla con te, strofinandola sui terreni che ti passano sotto i piedi, sporca, infreddolita o schiantata dall’afa.
Non è vero che i viaggi avvengono nella testa, che si può viaggiare rimanendo a casa, che si possono fare viaggi stupendi con la mente. No, non è vero. Il viaggio nasce nella testa, matura, ma per esistere ha bisogno di assorbire linfa attraverso i sensi, toccare, sentire, annusare, assaggiare.
Quello mentale è un sogno, non un viaggio.”
INFO UTILI
–Titolo: Sensi di Viaggio
–Autore: Marco Aime
–Editore: Ponte alle Grazie
–Anno di pubblicazione: 2005 (io ho letto la versione del 2016, con alcuni racconti nuovi e un pensiero iniziale di Guccini).
–Luoghi toccati: In ordine, abbiamo Torino, California, Bretagna, Baltit, Algeri, Aleppo, Rangoon, Arusha, Ouarzazate, Hoggar, Maktadigadi Pans, Livingstone, Guayaquil, Katmandu, Ghorepani, Goma, Mbabane, Jaipur, Udaipur, Yemen, Ouagadougou, Timimoun, El Goléa, Ghardaia, Lisbona, Burkina Faso, Benin, Timbuctu, Avana.
–Lo consiglierei a: chi pensa di aver perso un pochino la bussola e vuole ritrovare il senso dei propri sensi… in viaggio, e non solo.
–Non lo consiglierei a: chi odia i racconti brevi, le “non trame” e una punteggiatura un po’ troppo licenziosa.
Hai mai letto Sensi di Viaggio di Marco Aime? Cosa ne pensi? Quali sono i sensi che usi in viaggio, e quali ricordi hai legati a loro? Raccontamelo con un commento! 🙂

Lucy the Wombat
Ottobre 16, 2018Post molto interessante! Dai pezzi che hai messo, sembra proprio che questo Anime scriva molto bene (mi baso solo su questo perché non ho mai letto sue cose). Però mi sento di dire che, se è vero che leggere di viaggio non equivale a viaggiare, è perché forse non si leggono le cose giuste! Forse i resoconti di viaggio sono validi come informazioni o suggestioni, ma per credere, convincersi di essere davvero partiti ci vuole un bel romanzo! Ps: concordo su una cosa: l’odore del koala non si può leggere da nessuna parte, bisogna sentirlo ❤️
Agnese - I'll B right back
Ottobre 16, 2018Sì, hai perfettamente ragione! Certo romanzi sono veramente, ma veramente capaci di trasportarci nei luoghi descritti e certe sensazioni sembra proprio di viverle davvero! Però non si può negare che la percezione vissuta realmente, coi cinque sensi, non si possa raggiungere con nessun libro al mondo! 🙂
Meekhayla
Ottobre 16, 2018Io leggo tanto ma questo è un genere che non mi appartiene, quindi non ho letto questo libro, però un po’ mi hai incuriosito! A me non dispiacciono i racconti brevi, per me il discrimine sta soprattutto nel “come” viene descritto e raccontato qualcosa, la lunghezza viene dopo 😀 Su una cosa sono d’accordo, proprio perché viaggio poco e leggo tanto: bisogna viaggiare davvero, come dici tu… viaggiare con l’immaginazione non vale!
Agnese - I'll B right back
Ottobre 16, 2018Hai ragione, sicuramente il “come” è più importante della lunghezza del testo! Anche se io di solito amo i testi luuuunghi 🙂
Bisognerebbe viaggiare di più per scoprire di più con i nostri sensi 🙂
rossella kohler
Ottobre 16, 2018Conoscevo Marco Aime perché antropologo ed espertissimo di Africa, e mi piace molto la sua visione del mondo. Questo libro non l’ho letto, ma mi hai incuriosito.
Agnese - I'll B right back
Ottobre 16, 2018Sono contenta di averti incuriosito allora!! Se lo leggi, poi mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensi 🙂
Elena
Ottobre 17, 2018Io ho ascoltato Aimè a una conferenza.. Questa tua recensione mi ha molto incuriosita in realtà. Lo leggerò è ti farò sapere!
Agnese - I'll B right back
Ottobre 17, 2018Davvero?? A me incuriosisce il lavoro che fa, dev’essere interessante fare viaggi da un punto di vista antropologico! Se leggi il libro poi fammi sapere che ne pensi 🙂